sabato 11 giugno 2011

REFERENDUM 12 E 13 GIUGNO 2011: INTERVENTO SULL'ACQUA DEL CONSIGLIERE COMUNALE LUIGI MELISSANO




ACQUA - REFERENDUM 12-13 GIUGNO

Il 12 e 13 giugno saremo chiamati ad esprimere 4 SI ai quesiti referendari.

Due di questi riguardano l’acqua, per affermare che questa deve essere e rimanere pubblica e perché sia chiaro che, su un bene comune, non ci possono essere logiche di mercato e/o di mero profitto.

L’acqua è un diritto fondamentale, inalienabile di ogni individuo, perché l’accesso all’acqua significa diritto alla vita, alla salute.

I referendum sono sia il grimaldello per scardinare una più vasta impalcatura ideologica che un diverso modo di intendere la vita e le relazioni con il prossimo. Per questo l’attenzione va posta sul lavoro svolto dai comitati di base nel definire la cornice della lotta sull’acqua e, più in generale, sul concetto di BENE COMUNE.

L’acqua, secondo la proposta di legge presentata dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua, così come quella Rodotà, prevede di considerare l’acqua non come bene pubblico ma come bene comune, da gestire obbligatoriamente in regime pubblicistico, anche nell’interesse delle generazioni future.

I beni comuni sono beni a TITOLARITÀ DIFFUSA nel senso che ognuno di noi è titolare di un bisogno che, appartenendo alla sfera dei diritti individuali ed inviolabili, è sufficiente ad individuare un interesse da garantire per legge.

Esempi di beni comuni materiali sono l’ambiente, il paesaggio, l’aria, ma anche beni immateriali come l’istruzione, la salute, la cultura.

Ricordiamo che sono stati i movimenti dal basso che hanno permesso di arrivare a questo appuntamento, che può segnare uno spartiacque ideologico rispetto al passato in tema di politiche liberiste e di privatizzazione

Sul tema dei referendum dell’acqua molti rappresentanti politici hanno sostenuto il fatto che, comunque, l’acqua rimane pubblica e solo la distribuzione diviene privata. Viene da dire che l’acqua diventa un bene essenziale solo nel momento in cui viene potabilizzata e viene distribuita.

Il valore si crea in queste fasi, che con il Decreto Ronchi diviene obbligatorio privatizzare.

L’acqua è un bene a basso prezzo a domanda rigida e la lotta sta proprio nell’accaparrarsi la rete distributiva, oppure quella parte più redditizia, perché serve un grande bacino di clienti. Un po’ come succede per il calcio, ma anche per le ferrovie, le strade, le telecomunicazioni, dove territori poco appetibili vengono abbandonati dalle logiche del mercato. In sostanza: dove non c’è profitto non si investe.

Il presupposto ideologico che il privato sia meglio del pubblico, almeno nel campo dei BENI E DIRITTI COMUNI, è un assunto tutto da dimostrare, anche alla luce dei pessimi risultati avuti in questi 25 anni di politiche di privatizzazione.

La complessiva vicenda delle privatizzazioni italiane è emblematica: le autostrade di Benetton, la Telecom, l’Alitalia, l’acquedotto di Aprilia, il ciclo dei rifiuti, ecc..

Più in generale, nel mercato delle utilities, i profitti sono generati con l’aumento delle tariffe e c’è una scarsa tendenza dei gruppi imprenditoriali a reinvestire per il miglioramento del servizio.

I quesiti referendari sono strutturati per andare in questa direzione.

1) Quello legato all’abrogazione dell’art. 154 del nuovo T.U. sull’ambiente, nella parte in cui dispone che la tariffa del servizio idrico è determinata tenendo conto della remunerazione del capitale investito.

Cioè – chi investe in questo settore, in regime di quasi monopolio, ha una rendita garantita del 7% sul capitale investito. Quale migliore garanzia per i grandi gruppi finanziari o le multinazionali del settore?

Si opererà in un regime di monopolio con un bene a domanda rigida e con la possibilità di scaricare, per legge, sull’utente finale tutti i costi del servizio, o del disservizio, e il profitto sui capitali investiti. Qualcosa di grottesco e profondamente illiberale.

Una vicenda politico economica che ricorda molto quella dell’energia rinnovabile. Un settore d’investimento sicuro per i grandi gruppi finanziari, finanziato a caro prezzo da tutti noi comuni cittadini/consumatori.

Ha ragione Rodotà quando parla invece del bisogno di un nuovo modello di pubblico, perché acqua, energia, trasporti, reti energetiche, ma anche scuola e sanità sono settori che, costruiti in un secolo con la fiscalità generale, non possono essere lasciati in mano a pochi gruppi economici privati.

2) Con la richiesta di abrogazione di tutto l’apparato legislativo che in ultimo ha portato all’approvazione, nel 2009, del decreto Ronchi, il quale porta sul mercato tutti i servizi pubblici essenziali, espropriando i cittadini dei beni costituiti nel tempo con la fiscalità generale e sottoponendoli alla logica del mercato e del profitto.

Con questa norma vengono obbligate le Autorità di Gestione ad affidare a privati la gestione dei servizi idrici o a società miste con capitale privato non inferiore al 40% e la cessazione al 31/12/2011 degli affidamenti a società pubbliche “in house”.

Dire SI a questo referendum vuol dire fermare il processo di privatizzazione in atto.

In questo quadro la Regione Puglia attua la sua politica per l’acqua pubblica su due strategie.

La costituzione dell’Ente Idrico Pugliese, controllato per intero dai comuni pugliesi, in sostituzione delle ATO idriche e sostituendole nelle competenze in materia di servizio idrico integrato. Sarà l’Ente Idrico ad approvare il PIANO D’AMBITO e la relativa TARIFFA.

Il secondo fronte è quello che passa dalla ripubblicizzazione dell’acquedotto pugliese che dovrebbe sancire il passaggio di AQP da SPA ad ente di diritto pubblico e la definitiva fuoriuscita dell’acqua dal sistema del mercato e dalle logiche del profitto.

Dire SI AI REFERENDUM VUOL DIRE affermare che un nuovo mondo è possibile, vuol dire fermare il processo di privatizzazione non solo dell’acqua ma dell’intero pianeta, delle risorse biogenetiche della natura e culturali dei popoli.

Vuol dire battere i tentativi di instaurare il nuovo ordine mondiale che si serve del debito e della fame del terzo mondo per imporre le sue ricette di privatizzazione dei servizi e dei beni pubblici. Perché è questa la logica che si nasconde dietro queste politiche sul’acqua, sul nucleare.

Dire SI ai referendum sull’acqua e sul nucleare vuol dire batterli sul loro terreno.

LUIGI MELISSANO

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